Abbiamo trascorso un weekend di notevoli trambusti meteorologici in Puglia, ma la notizia di cronaca meteo che più ha fatto scalpore è stata quella relativa alla tromba marina, che ha interessato il tratto di Adriatico al largo del Brindisino domenica mattina.
Si è trattato di un fenomeno vorticoso di notevole intensità e di sicuro impatto visivo, ma non è stato di certo né un fenomeno eccezionale, né tanto meno un evento totalmente imprevedibile, date le condizioni meteo preesistenti (caldo intenso e prolungato), seguite da correnti più fresche ed instabili.
Sono stati in molti, ovviamente, a gridare all’“eccezionalità” del fenomeno e a tirar fuori i soliti stereotipi legati alle variazioni climatiche e alla cosiddetta “Tropicalizzazione del clima”. A giudizio di chi vi scrive, va tuttavia rilevato che, specie il sud Italia, non è geograficamente lontano né dall’Africa, né dai Paesi subtropicali in generale e che, peraltro, di tali fenomeni, anche in passato, le nostre terre ne hanno ospitati diversi, primo fra tutti il tornado del 2 agosto 1985, che colpì molte aree della Regione, dal Gargano in giù, acquisendo particolare forza tra Bari e Taranto e coinvolgendo anche Castellana e Putignano (in quest’ultima città si ricordano le luminarie della festa patronale divelte dalla furia del vento). Tuttavia, l’evento più catastrofico che si ricordi negli ultimi tempi in Puglia è stato il terribile tornado abbattutosi su Taranto-Statte il 28 novembre 2012, che è risultato uno fra i più intensi e più lunghi d’Italia, avendo percorso circa una settantina di Km sulla terraferma pugliese (si è dissolto solo una volta raggiunto il mar Adriatico) ed avendo raggiunto un grado d’intensità F3 (in un range da F0 a F5) sulla Scala Fujita.
Tutto ciò permette di considerare questo fenomeno come generato da particolari situazioni meteorologiche che possono statisticamente verificarsi nel nostro territorio, magari con tempi di ritorno ampi, ma non imputabili solo ed esclusivamente a conseguenze prodotte dalle variazioni climatiche. La carta sotto riportata, infatti, mostra molto chiaramente come proprio la Puglia, unitamente alla Lombardia, all’Emilia Romagna, al Veneto e al Lazio, siano le regioni d’Italia aventi le più alte probabilità di formazione di questa tipologia di fenomeni meteorologici.
A tal proposito, e a beneficio di chi usa questo canale di informazione anche per cultura (oltre che per diletto o utilità), va ricordato che tromba d’aria e tornado sono esattamente il medesimo fenomeno vorticoso, che si sviluppa sotto intensi cumulonembi e violente supercelle di tipo tornadico, ossia quei temporali che formano al loro interno una struttura depressionaria ciclonica rotante, detta “Mesociclone”. Una supercella può creare comunque tornado anche deboli, o non formarne affatto. I tornado sono avvenuti in tutte le regioni d’Italia, tranne che in zone montuose (appenniniche o alpine), eccezionalmente in valli interne fra i monti. Solitamente, infatti, essi si sviluppano e muovono su zone di pianura o poco collinari, ma possono interessare anche le aree costiere, traendo peraltro ulteriore vigore dal passaggio su tratti di mare caldi. Se il fenomeno interessa solo le acque marine è usualmente definito tromba marina o “Waterspout”.
Dato che tra le cronache (purtroppo le più gettonate sono quelle che tutti noi leggiamo su Facebook) rilanciate ieri sui social media da improvvisati “meteorologi da strapazzo” si sono letti anche termini, quali “uragano”, non è superfluo sottolineare che l’uragano è un fenomeno radicalmente diverso dal tornado per altrettanti diversi meccanismi di genesi, per collocazione geografica, intensità e durata del fenomeno. Esso, pertanto, non va affatto confuso con trombe d’aria/tornando/trombe marine, anche perché è impossibile che un fenomeno di questo tipo interessi le aree mediterranee, se non nella forma (comunque di gran lunga più attenuata ed altrettanto diversa) di “ciclone extratropicale a cuore caldo”.
Dobbiamo temere questo tipo di fenomeni in relazione ai cambiamenti climatici e alla cosiddetta “Tropicalizzazione del clima”?
Quanto descritto sopra, e mostrato nella carta esclude, come già anticipato, il non giustificato timore che – passatemi un’amara battuta – oltre ai migranti, l’Italia sia ormai conquistata anche dai fenomeni estremi che si verificano nelle aree tropicali. È chiaro che, la differenza tra un fenomeno statisticamente possibile (e già più volte verificatosi) ed uno per il quale appaia opportuno andare ad approfondire la questione, passa dalla sua intensità e dalla sua cadenza temporale, essendo palese che un conto è che tali fenomeni si verifichino con la medesima intensità media con cui si sono verificati in passato e a distanze mediamente di ordine decennale, ed un conto sarebbe se tali fattori statistici dovessero cambiare. Ma la statistica meteorologica basa le sue regole su tempi estremamente lunghi (anche trent’anni) proprio per non discutere solo di congetture ed analizzare invece un numero congruo di dati su cui poter poi valutare in modo ponderato.
Ad oggi, non vi sono eclatanti segnali che giustifichino un reale cambiamento epocale del clima mediterraneo. Ciò che è verificabile negli ultimi anni è soltanto un lieve (ma tendenzialmente sempre minore) aumento delle temperature ed una lievemente maggiore concentrazione delle precipitazioni in più ristretti spazi temporali (per intenderci, stessi quantitativi di pioggia medi annui ma minori giorni di pioggia complessivi). Ciò, tuttavia, intanto non è sufficiente né a distinguere una fase climatica (che può anche chiudersi all’improvviso o riassorbirsi in tempi ristretti) da un vero e proprio cambiamento climatico epocale, né ciò ha nulla a che fare con il clima tropicale su cui tanto ci si arrovella di questi tempi. Le due tipologie climatiche – quella tropicale e quella mediterranea – sono diverse quanto lo è proprio una tromba d’aria rispetto ad un uragano, e forse non è il caso di richiamare questo benedetto clima tropicale ad ogni nota, apparentemente stonata, di un’estate che non canti esattamente come noi vorremmo.
Anche il tempo ha le sue ragioni e ha la sua anima; noi, se possibile, dovremmo ricordarci che da qualche parte abbiamo anche un cervello.