A parlare è Franco Prodi, già ordinario di Fisica dell’atmosfera all’Università di Ferrara, che in un’intervista ad un quotidiano italiano offre una lettura controcorrente di ciò che accade in Italia e sulle nazioni mediterranee, relativamente ai fenomeni intensi che si stanno verificando negli ultimi tempi e ai cambiamenti climatici.
«Piuttosto bisogna elaborare, ed eventualmente diffondere al pubblico, le immagini da satellite e radar meteorologici per previsioni a breve termine» – asserisce il professore. «Di fronte ai temporali, nella previsione del rischio di alluvioni il principio è che più piccolo è il bacino, più conta la meteorologia, intesa non come previsione numerica basata su equazioni che dipingono situazioni generiche in un futuro di giorni, ma come “nowcasting”, fondato su immagini in tempo reale di satelliti e radar».
Il nowcasting avrebbe aiutato a prevenire la tragedia di Livorno?
«Ogni venti minuti-mezz’ora si può avere una stima dell’intensità di precipitazione nel bacino del fiume o del torrente. Dalla Valtellina alla Versilia, da Genova alla Sardegna, temporali di forte intensità su bacini piccoli hanno prodotto rapidamente conseguenze distruttive. Ma le bombe d’acqua non esistono. Voi giornalisti dovreste abolire questo termine a-scientifico. Il radar meteorologico riconosce i diversi tipi di temporale: a cella singola, multicella, squall-line o linea di celle, supercella con tornado e trombe d’aria associati. Le immagini da satellite devono aver mostrato che in Toscana nasceva qualcosa d’importante. La meteorologia dinamica dà previsioni di 10-11 giorni con attendibilità decrescente. Il calcolatore che risolve le equazioni dinamiche ci può dire che esiste un pericolo, non prevedere esattamente dove. Ci si aspetta il temporale ad Alessandria, poi si abbatte su Novara».
E le previsioni a 24 o 12 ore?
«La meteorologia osservazionale consente di incrociare i dati da radar e satellite con lo studio delle sezioni di un corso d’acqua per prevedere un’esondazione e passare l’allerta alla protezione civile: è il modello impiegato in tutto il mondo. Non c’è situazione della quale non si possa fare una stima dell’intensità di precipitazione con il radar meteorologico. Che identifica grandine, gragnola, pioggia e cristalli di neve già nella nube. È come avere le risonanze magnetiche più aggiornate per guardare dentro il temporale. Altro è mettere in pratica un sistema di allerta e una catena di reazione».
Come?
«L’idrologo può dirci qual è l’evoluzione di un fiume in pericolo. Nella mezz’ora di allerta la protezione civile valuta se è giorno di festa, se c’è traffico. La catena della gestione del rischio va dalla previsione di giorni all’emergenza anticipata il più possibile e resa accessibile. Non vedo arrivare ai cittadini documenti da radar meteorologici come in Francia, Svezia, Germania, Gran Bretagna, U.S.A., dove il nowcasting è tanto sviluppato che ci vogliono vendere il software».
E nel Mediterraneo?
«Dalla costa mediterranea della Spagna e della Francia all’Italia, i bacini sono piuttosto piccoli e con temporali importanti, soggetti ad alluvioni. Nella seconda metà degli anni ’90 ho guidato un progetto europeo concludendo con l’auspicio di creare un centro europeo di emergenza delle alluvioni, che naturalmente è finito in un cassetto. Oggi sarebbe possibile accentrare tutti i dati sui bacini e produrre allerta a livello europeo».
Si può parlare di Italia tropicale?
«Tropicale? Fesserie! Le leggi della fisica restano quelle, il ciclone extra-tropicale è diverso da quello tropicale. Qualche evento quasi tropicale si presenta, ma assai raramente nel Mediterraneo. L’aumento delle temperature porta a più vapore in circolazione e quindi può generare un leggero aumento delle precipitazioni, ma i fenomeni sono quelli, perché quelle sono le cinque equazioni della meteorologia dinamica. L’Italia ha la raccolta dati più accurata dai primi del 900 e non ho trovato evidenze di incremento delle alluvioni se non nella conta di danni e vittime».
Come se lo spiega?
«Perfino le aziende costruiscono in terreni golenali o inondabili, dove le inondazioni sono più devastanti. È solo alle basse latitudini che si forma il ciclone tropicale con l’occhio circolare, le bande di pioggia e la curvatura dei bracci a spirale. Mai alle latitudini superiori».