Arrivò fine febbraio e, azzardatamente e un po’ ingenuamente, molti credettero che la fine dell’inverno fosse ormai giunta. Effettivamente, agli albori di marzo, la primavera sembrò fare capolino, malgrado la sua prematura mossa lasciasse dietro di sé un’ombra di incredulità tanto lunga quanto corta sarebbe poi risultata l’illusione della sua effettiva affermazione.
Giunse metà marzo e, disillusi, riponemmo in aprile le speranze di un netto miglioramento del tempo, senza immaginare che anch’esse sarebbero state prevalentemente disattese. Fu a quel punto che, costretti dagli eventi a guardare fiduciosi a maggio come al mese della vera svolta stagionale, ci ritrovammo che la diritta via della primavera era smarrita.
Ed eccoci qui, all’inizio della III decade di maggio, con la consapevolezza che neppure questa occasione è risultata quella giusta per scrollarsi di dosso il grosso fardello del brutto tempo. Ci ritroviamo ormai quasi obbligati a rilanciare la palla nel campo di giugno, perché abbiamo persino perso la fiducia nelle reali possibilità di un cambiamento a breve o medio termine. E se nei mesi scorsi affermavamo, con un crescente grado di certezza, che «Prima o dopo la bella stagione arriverà», ora, pensando al prossimo mese, riusciamo a pronunciare quelle parole a stento o al massimo anteponendo il “se” davanti.
È il frutto inevitabile, da un lato, di un pervicace arrotolamento di questa stagione su se stessa, che fa tanti passi in avanti quanti ne fa indietro, restando sostanzialmente quasi ferma allo stesso punto ormai da due mesi, ma è anche il risultato ineluttabile del lavaggio del cervello che i media stanno metodicamente mettendo in atto per dimostrare che «Qualcosa è cambiato».
Se d’inverno c’è siccità è colpa della CO2 e delle sue nefaste conseguenze, se fa troppo freddo è perché il clima è cambiato e nulla è ormai come prima. Se la stagione di mezzo, la Primavera, fa per una volta la stagione di mezzo, è comunque colpa del Global Warming perché senza di esso a quest’ora saremmo già al mare. Se tra poco dovesse arrivare l’Anticiclone africano, sarà inevitabilmente colpa del clima ormai impazzito, che non riesce più ad essere in equilibrio e che ha sostanzialmente eliminato le mezze stagioni.
Così, se da un lato abbiamo perso la fiducia nell’avanzamento stagionale, dall’altro abbiamo un po’ tutti perso anche la ragionevolezza e la capacità di usare adeguatamente le parole, oltre che la testa, visto che ormai fioccano da ogni parte frasi svisceratamente esagerate, staccate completamente da ogni evidenza scientifica e totalmente appiattite al mainstream mediatico. Il trito e ritrito «Non si era mai visto nulla di simile», così come il più “modaiolo” «È colpa dei cambiamenti climatici», per finire all’apocalittico «È la Natura che si rivolta contro l’uomo», sono ormai cliché che trasudano del più marcio globalismo ecologista e sono infarciti della più spettacolare drammatizzazione degli eventi che si sia mai vista sul piccolo schermo e su quel patetico titolare di certi giornaloni, privi ormai di qualsiasi autorevolezza a riguardo.
Più che del clima (in senso meteorologico) che stiamo vivendo, bisognerebbe perciò preoccuparsi del clima impazzito che attraversa la “comunicazione” nella nostra società, considerato che quest’ultimo scorcio del II decennio del XXI secolo sembra molto più aggrovigliato sulla spettacolarizzazione e sul pessimismo climatico di quanto non lo sia questa Primavera 2019, pur con le sue bizzarrie e con la sua eccessiva ritrosia.
Per fortuna di chi crede che il futuro che avrà la nostra Terra sarà certamente più radioso di quanto vogliano farci credere, sarà così anche per l’evoluzione di questa farfugliante primavera, che presto correrà spedita, pur nella tortuosa pista di questo stravagante ciclo stagionale, verso l’incontro con la stagione a cui, al primo allungamento di braccio, cederà il testimone.